Premesso che a noi Marchionne non piace per due principali motivi: perché è un epigone del liberalcapitalismo e perché vuole sostituire le leggi del mercato alle leggi dello Stato, pure è opportuno fare chiarezza sulla questione dei tre operai sindacalisti licenziati alla Fiat di Melfi che poi il giudice del lavoro ha reintegrato. I fatti: durante uno sciopero a cui parecchi lavoratori non avevano aderito, i tre avevano bloccato i muletti automatici che rifornivano le linee di montaggio per coloro che non avevano aderito allo sciopero ed in questo modo avevano di fatto obbligato a fermarsi anche coloro che non lo volevano fare.
Lo sciopero è un diritto, ma lo è altrettanto il non aderirvi ed il voler lavorare per cui i tre operai sindacalisti hanno, con il loro gesto, commesso un doppio sopruso illegale. Il primo verso la Fiat fermando di fatto il lavoro che sarebbe proseguito parzialmente con coloro che non avevano aderito allo sciopero ed il secondo verso i compagni di lavoro imponendo loro la propria volontà ed impedendo loro di esercitare la libertà di scelta di non scioperare. La sentenza del giudice del lavoro non cambia i fatti ed anzi è, a nostro parere, una prepotenza oltre che una cosciente illegittimità! Forse non varrebbe la pena di parlare ancora di un fatterello minimo che non riveste tutta l’importanza che i media gli hanno dato e che ha fatto scomodare anche il presidente Napolitano con una lettera declamata “Urbis et orbis” se questo non evidenziasse per l’ennesima volta uno scompenso, una discrasia, un vizio di sostanza che tara le relazioni tra capitale e lavoro. Capitale e lavoro sono le due entità che compongono in modo inestricabile ed organico la produzione della ricchezza di un Paese e sono due entità che, se lasciate a se stesse, hanno interessi e filosofie diverse quando non antitetiche che sono subito emerse alla nascita dell’industrializzazione e sono proseguite senza soluzione di continuità. Su queste basi sono nate due correnti socioculturali e cioè il liberalcapitalismo ed il sindacalismo marxista. Con fasi alterne queste due visioni del mondo del lavoro si sono affrontate giungendo al capitalismo degli USA ed al Comunismo dell’URSS ed entrambe hanno dimostrato alla storia il loro fallimento, la seconda in modo totale ed la prima in modo parziale ma molto significativo, come ha dimostrato l’ultima di una serie di crisi economiche e finanziarie che hanno messo in ginocchio il mondo intero. Quanto successo a Melfi è la logica conseguenza di una situazione di lotta di classe che vuole risolvere le questioni tra capitale e lavoro con un semplice rapporto di forza tralasciando giustizia ed equità. Il sig. Marchionne sta cercando di reintrodurre il concetto che il mercato e le esigenze industriali sono l’asse portante ed il significato stesso della società moderna e che pertanto si deve privilegiare su ogni altro aspetto quello che permetta di gestire una strategia industriale di largo respiro a costo di comprimere i diritti dei lavoratori e di inasprire le condizioni ( già non felici) che essi debbono accettare pur di conservare un posto di lavoro. In pratica, approfittando di un’obiettiva situazione di crisi nazionale e mondiale, la FIAT pretende di spostare l’asse dell’equilibrio tra capitale e lavoro a favore del capitale con una sorta di ricatto che fa perno sul pericolo della disoccupazione. Evidentemente è soltanto una delle fasi alterne del contendere tra capitale e lavoro e non esprime nessuna rivoluzione Copernicana come invece si tende a fare apparire, ma è esattamente l’esito contingente di un rapporto di forze. La vera rivoluzione l’aveva fatta il Fascismo quando, in R.S.I., aveva risolto l’eterno conflitto tra capitale e lavoro trasformando i contrasti in sinergie e tagliando una volta per tutte il nodo gordiano dei conflitti di classe trasformando i lavoratori da oggetto a soggetto del lavoro con una dignità mai avuta né prima né dopo. Quella rivoluzione si chiamava SOCIALIZZAZIONE ..!! Immaginate una FIAT in cui i lavoratori partecipino non solo agli utili, il che già li farebbe sinceramente interessati al buon andamento dell’azienda, ma nella quale essi partecipassero anche, in qualità di comproprietari, al consiglio d’amministrazione con facoltà di concorrere alle decisioni aziendali più importanti. Qualsiasi decisione si rendesse veramente necessaria per il salvataggio dell’azienda li troverebbe disponibili e concordi anche perché essi saprebbero che così come in certi momenti si rendono necessari dei sacrifici, allo stesso modo nei periodi buoni essi sarebbero, assieme al capitale, i beneficiari dei vantaggi che ne deriverebbero e quella dei sacrifici sarebbe solo una via temporanea e non una strada senza ritorno come è oggi con le proposte di Marchionne. Nello stesso tempo alcune decisioni, come le massicce delocalizzazioni attuate da certe aziende, sarebbero certamente ridimensionate salvaguardando i posti di lavoro dei dipendenti. Anche oggi, se si applicasse legislativamente l’articolo 46 della costituzione, si potrebbero realizzare i modi di una partecipazione dei lavoratori alla gestione aziendale, ma in tanti anni, dal 1948 in qua, nessuno, né i sindacati, né i partiti politici di ogni colore ne hanno mai proposto l’applicazione. Tra l’altro un’analoga soluzione è già da molto tempo operante, con notevole successo, in Germania dove, nelle più grandi aziende ( BASF, Bayer..) , i lavoratori sono comproprietari azionisti e partecipano, in tale veste, ai consigli di amministrazione aziendale. Sarebbe un piccolo passo nella giusta direzione, ma evidentemente c’è una mancanza di volontà politica che non può che essere causata da malafede e dalla stupida riserva mentale di non volere realizzare qualche cosa che era stato suggerito dal Fascismo. Come sempre la stupidità e la meschinità la vincono sul buon senso ..!!
Alessandro Mezzano