D’in su la vetta del corso antico,
Lampione solitario, alla piazza Monumento
illuminando vai dopo che il more giorno;
ed erra l’armonia per questa piazza.
Luce dintorno brilla nell’aria, e per la piazza esulta,
sì ch’a mirarla intenerisce il core.
Illumini gruppi di persone chiacchierar, e spernacchiar fetenti;
gli altri giovincelli contenti, per lo corso fan mille giri, pur festeggiando il lor tempo migliore:
tu lampione pensoso (e penoso) in disparte il tutto miri;
non hai compagni lampioni, non ti cal d’allegria,
schivi gli spassi illumini, e così trapassi.
Dei tanti mesi che stai in cima al corso
sono della tua vita il più bel fiore,
oimè, quanto somiglia al tuo costume
quello di me sindaco solitario e schivo!
Lampione deriso, dalla novella età dolce famiglia,
e te Lampione in giovinezza,
prova di luce acerba de’ provetti giorni,
non mi curo io di saper chi ha deciso di metterti in quella posizione;
anzi da questa incompetenza quasi fuggo lontano;
assisto impassibile al devastar del corso nazional.
Questo giorno ch’omai cede alla sera, festeggiar si costuma il nostro borgo vecchio e senti per lo sereno un suon di pernacchia tonar e che rimbomba lontan nella villa comunal,
per al sindaco far capì quanto incompetente lui è.
Tutta vestita a festa la gioventù del loco lascia le case,
e per le vie si spande e mira ed è mirata,
e in cor s’allegra Io Lampione solitario in questa remota parte della piazza Monumento uscendo.
Tu, solingo Lampioncin, venuto a sera del viver
che daranno a te le stelle del Comune,
certo del tuo costume non ti dorrai;
che di natura è frutto ogni vostra stranezza.
A me, sindacone che la detestata dimissione vorrei scansar,
quanto spero che la piazza muti presto
e con essa l’altrui core del cittadin onesto e il loro voto mi daran
così che il dì futuro sia migliore del dì presente noioso e tetro.
Che parrà di tal voglia?
Che di quest’anni miei da amministrator?
Che di me stesso?
Ahi mi pentirò, e spesso voltandomi indietro rimirerò
il Lampione solitario.
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