A Giampiero Paviolo, alta penna de “La Stampa” fulminato nel Molise da infarto cardiaco,

Paviolo.jpgGUARDIALFIERA – Giampiero Paviolo, uno dei principali artefici del quotidiano La Stampadi Torino, capo settore politico per gli Interni, muore fulminato da infarto cardiaco a Guardialfiera, la notte del 12 agosto, nel bel meglio della festa. Gli organi di informazione nazionale hanno riservato grande rilevanza al colpo giornalistico. Paviolo, da un decennio, s’era naturalizzato a Guardialfiera.

 Paviolo2.jpgQui, in estate, era un segno trasparente e attraente di affiatamento e amicizia. Impressionante la fatalità: in coppia con Aurora Giangrasso, da dilettante allo sbaraglio, Giampiero aveva appena cantato per la “Corrida” – spettacolo di piazza organizzato e voluto anche da lui – aveva appena mirabilmente interpretata da “ Un corpo e un’anima” … quel sensazionale ”non ci lasceremo mai’~ Dieci minuti dopo, lo schianto! Lasciati definitivamente invece da lui. Dall’archivio del Centro Studi, vien fuori oggi uno paradigma di impressioni, annotate da lui il 26 settembre 2005, intorno a personaggi e luoghi caratteristici di Guardialfiera. Estirparne e pubblicarne stralci qui di seguito, pare sia modo cortese per rendere omaggio alla sua figura e ricordarlo con la Sua stessa intensità d’affetto. “Cari amici, il vostro cronista è capitato a Guardialfiera, un brandello d’Italia. Un paese di 1200 abitanti che, chissà perché, può fregiarsi del titolo di città. Sta “in coppa”, cioè in cima a una collina, come spiega un ‘ariosa canzoncina locale. E da questa collina il borgo guarda un mondo di campi, di vigneti ed un lago azzurro che, da quarant ‘anni, ha sommerso orti e frutteti preziosi ed uno storico ponte romano, che pare sia servito ad Annibale per passare il Biferno e raggiungere Canne. E’ uno dei rari luoghi di mezza montagna che ha uno spiaggia: quella di mare, che sta ad un quarto d’ora di macchina. Terra di emigranti e scalpellini. Città della pietra, tanto che pure il Vescovo titolare, mons. Di Pierro, ha inserito nel suo stemma un saxus. Luogo del perdono: vanta la prima Porta Santa della storia. C’è oggi il derby estivo del paese.’ Chiaza-Casalott, dove Chiazza è la piazza. Ed è una stranezza perché qui chiamano Chiazza, quella che altrove diremmo Via o più pomposamente Corso. Casalotto è tutto ciò che non è Chiazza, saranno forse i Casali più lontani. Giocare, cantare, mangiare sono le singolarità del luogo. Quasi tutti hanno voci robuste e ben impostate, che raggiungono il massimo splendore alla vigilia dell’Epifania, allorché si va di casa in casa cantando la Pasquetta, narrazione affascinante in strofe e in rima baciata, del cammino dei Magi che, dall’Oriente ­guidati dalla Stella – cercano una grotta, mezza sana e mezza rotta, dove sta il Bambinello fra il bue e l’asinello. L’altro anno ho cantato anch’io, minacciando, con gli altri, i dimoranti della casa, di continuare il coro finché la porta non fosse stata aperta. Tutti fingono d’essere svegliati ed offrono salsiccia, frittelle, dolci e portate dai nomi curiosi, ma dal sicuro effetto devastante sull’apparato gastro­intestinale. Fra tenori, baritoni e mezzosoprani, spicca Enzo, il solo cantante al mondo ad usare il microfono come silenziatore. Egli è anche uno dei personaggi in prima fila nel presepe vivente di Guardialfiera. Commercia mobili e reggiseni; con la moglie Pina è instancabile animatore della vita diurna e semi-notturna del paese. Il suocero di Enzo si chiama Ulisse. Il nome eroico è tradizione di famiglia: il papà di Ulisse era Adelchi, il figlio anche è Adelchi – Telemaco. Ulisse, poco più che sessantenne, di statura non alta come tanti della sua generazione, è perito agrario, è una garzantina vivente del basso Molise: conosce i luoghi, gli uomini, le storie di uomini, di transumanze. Parte presto al mattino per il bosco e lì, felice, trascorre ore serene, ingozzandosi di fichi e strappando alla terra I piantine di origano, che composte in mazzetti, orneranno la sua e le cantine dei parenti. E’ un trottolino inesauribile, l’escursione in sua compagnia non ha prezzo. Oddio, uno ce l’ha. Dovreste sapere che ad ogni storia, accompagnerà una vigorosa stretta al vostro avambraccio, sicché è consigliabile essere in comitiva, per darsi un turno al suo fianco e salvare la preziosa parte dell’arto superiore. Nel paese tutti sanno tutto di tutti, e chiacchierano, e spettegolano e pronosticano. Guardialfiera è ad uno sputo da Larino, dov’è nato Aldo Biscardi, amico di un mio amico, Nicolino Miscione, guardiese doc, trapiantato a Torino, cugino degli Ulissiani. Figlio di Vincenzo, patriarca dei Miscione, importante impresario che lasciò il paese, per guidare Nicolino verso una improbabile laurea in ingegneria a Torino. Si porterà appresso la moglie Filomena, cuoca di qualità, la figlia Dalia e il figlio Pinuccio, che diverrà uno dei più ambiti pizzaioli della città alpina. Abbandonato senza rimpianti il Politecnico, al ristorante approda anche Nicolino che lo intitolerà “Pasta e Basta”, ritrovo di ritardati e buongustai. Guardialfiera è anche un paese di bugiardi. Il che potrebbe dire che, essendo bugiardi, in realtà dicono il vero. Francesco, il frantoiano, principe indiscusso della menzogna, s’inventa d’essere stato prete e di aver lasciato i voti per sposare una suora, sua penitente. Sempre lui, fece credere per giorni d’aver vinto 900 milioni al totocalcio. E ha potuto così riospitare parenti e amici svaniti da anni. Anche la mite Valeria, sua moglie (sì, ingannata anche lei) azzardò il sogno di una lavastoviglie. Francesco, un mattino di domenica, dà a credere al becchino sulla morte inaspettata di Leandro e, concitato, manda lì bara e catafalchi, mentre il “morto”, ignaro, stava inzuppando tranquillamente il pane nel vino. Un pomeriggio al bar, Francesco è mitragliato da getti d’acqua dalla nuova spina per le birre. Il genio entra in azione: “Fermi tutti – urlò – mi avete fatto zompare le lenti a contatto”. E per dieci minuti il titolare del caffè, setacciò il pavimento palmo per palmo, mentre nessuno osava muovere un muscolo per timore di schiacciare le sottilissime pellicole. Inutile dire che Francesco ha sempre avuto una vista perfetta. Il paese ha pure risentito dell ‘onda sismica che, nel 2002 aS. Giuliano, ha sepolto i poveri bambini, sotto le travi della scuola. Dicono qui, che nessun Comune s’è accaparrato risarcimenti, come Guardialfiera. Il fatto è che il Sindaco, Remo Grande, giovane e corpulento geometra, non è rimasto a guardare e a perdersi in tardive lamentele. Semplicemente s’è industriato ad elaborare ed inoltrare scartoffie a tempo di record. Dopo la seconda scossa, il Sindaco allestì una tendopoli sul campo sportivo. Arrivò tutto il paese sbigottito. I guardiesi prudenti, per rianimarsi, pensarono di attrezzarsi adeguatamente di viveri e bevande, da saziare perfino le proverbiali voracità degli alpini, giunti dal primo pomeriggio. Sicché tra una spanciata e un bicchiere, il Sindaco vide il più noto fifone del paese, dirigersi versi i servizi igienici, appena montati. Insieme ad un amico di stazza altrettanto robusta, Remo attese che lo sventurato si chiudesse alle spalle il container e iniziò a scrollarlo con violenza: una, due, tre volte. Fino a quando l’occupante non ne uscì con la cintura in mano e le brache a mezza gamba, urlando con tutto il fiato in gola: “V’ terremoto!”. Guardialfiera, un paese di dettagli colorati, di gerani che incendiano davanzali e balconi, di portali artistici, di una brezza odorosa e di un silenzio traforato di luce.

 Gianpiero Paviolo I

A Giampiero Paviolo, alta penna de “La Stampa” fulminato nel Molise da infarto cardiaco,ultima modifica: 2012-08-18T15:02:00+02:00da ereticus3
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